Era nell'aria, i sondaggi lo ripetevano da mesi. Code ai seggi di ore ed ore, affluenza alle urne ai massimi storici. Nonostante qualche timore della serie "se non lo vedo non ci credo", la Storia si è compiuta davanti ai nostri occhi: Barack Obama è il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. Tra le migliaia di sostenitori accorsi nella sua Chicago per acclamarlo durante il primo discorso da Presidente, non pochi hanno ceduto alla commozione. Era la rivincita dei figli e dei nipoti delle vittime dell'odio, del razzismo e della segregazione, infamie che hanno caratterizzato gli Stati Uniti fino alla fine degli anni '60, quando - solo allora - vennero abrogate le leggi discriminatorie. Perchè non è mai superfluo ricordare quando nemmeno mezzo secolo fa venivano preclusi o limitati agli afroamericani diversi diritti essenziali quali l'accesso alle cure sanitarie, alle scuole e al mondo del lavoro; si impediva alle cosiddette minoranze di unirsi in matrimonio coi bianchi; venivano umiliate migliaia di persone che utilizzavano i mezzi pubblici, ghettizzandole nella parte posteriore degli autobus. Erano gli anni delle Rosa Parks e dei Martin Luther King: tutto questo accadeva cinquant'anni fa, non cinquecento.
Per queste ragioni posso solo immaginare la gioia di chi ieri notte non riusciva a trattenere le lacrime ascoltando le parole di Obama, magari ripensando a un genitore o a un nonno vittima di questi soprusi e nella speranza che sia stata stracciata una volta per tutte una delle pagine più tristi della storia americana.
Potremo mai sentirci orgogliosi del nostro paese, come lo sono stati gli americani questa notte?